Il vuoto dell’ombra

Era buio.

Solo gli specchi delle ombre argentate degli spiriti notturni spazzavano via le tenebre.

La stanza era opacizzata dalla tranquillità dell’inverno ma lasciava il gusto acre dell’irrequietezza su labbra vergini pallide.

C’era qualcosa che creava disordine in quel tumulto d’ordine.

Come una cicatrice sulla schiena di una bambola.

Un taglio che emergeva dagli abissi dell’animo.

Era raccapricciante, era surreale, maledetta come una donna baciata dalla bestia nera.

Le bambole sono solo porcellana rosea impreziosite da stoffe ricamate e cucite attorno al corpo esile, e sono bellissime.

Le bambole non hanno imperfezioni violacee, non amano, non soffrono, non respirano, sono le compagne dimenticate di bambini e collezionisti.

Ma lei era diversa, provocava inquietudine e rabbia.

Era difettosa, era sbagliata.

E l’uomo che la stava osservando ricercava la perfezione, non lei.

E la stava cercando nelle cose inanimate perché non l’avrebbe mai potuta trovare in se stesso.

Eppure quella bambola lo attraeva, e non l’aveva mai voluta spostare da quella mensola macchiata di frustrazione.

Allo stesso tempo, però, la bambola lo costringeva ad affrontare la realtà: lui era come lei.

Un corpo vuoto appesantito dai tentacoli marci delle ombre.

Così fredda, così spoglia era quella stanza.

Di caposud

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