Il ponte sequestrato, le accuse pubbliche, il silenzio della Procura. E i cittadini di Pilati, ancora isolati.

Editoriale di Domenico Vincenzo Vinci

Il ponte di Pilati, a Melito di Porto Salvo, è chiuso dal 19 aprile 2021. Sequestrato dalla Procura di Reggio Calabria per “grave rischio di crollo”, è diventato il simbolo di un territorio dimenticato. Ma più che il ponte, è il silenzio che pesa.

La Procura, che aveva ipotizzato reati gravi come omissione di atti d’ufficio e attentato alla sicurezza dei trasporti, non ha mai individuato responsabili. Nessun nome nel registro degli indagati. Nessun provvedimento. Nessuna risposta. E sono passati quasi cinque anni.

Nel frattempo, il ponte è stato affidato in custodia al Comune. E i cittadini di Pilati — anziani, bambini, famiglie senza mezzi — sono rimasti isolati. Tagliati fuori da Melito, dalla sanità, dalla vita.

Ma c’è di più.

In un incontro pubblico, l’ex sindaco Salvatore Orlando ha accusato la precedente amministrazione di aver effettuato un semplice “lifting” al ponte, spendendo 60–70 mila euro per lavori che non hanno risolto nulla. Ha parlato di progetti ignorati, di prove tecniche da rifare, di soldi spesi male. Dichiarazioni gravi, documentate, pubblicate. Eppure, la Procura è rimasta in silenzio.

Nessuna reazione da parte dell’ex sindaco Giuseppe Meduri, né dall’ex vice sindaca Patrizia Crea, presente all’incontro. Nessuna richiesta di chiarimento da parte dei commissari prefettizi che hanno gestito il Comune. Nessuna interrogazione. Nessuna mobilitazione.

Come è possibile?

Come si può sequestrare il corpo del reato — il ponte — e dimenticare sia il corpo che il reato? Come si può ignorare il dolore dei cittadini, che hanno persino consegnato le schede elettorali al Prefetto, rinunciando al diritto di voto?

Melito non è Garlasco. Non c’è un omicidio in una villetta isolata. Ma anche qui c’è un corpo del reato. E anche qui, qualcuno dovrebbe avere il coraggio di indagare.

Non tra vent’anni. Ma ora.

Di caposud

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